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Il borgo di Castiglioncello, oggi |
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Una delle poche abitazioni rimaste in piedi |
Arroccato su uno sperone di roccia a strapiombo sul fiume Santerno, il borgo rappresenta uno dei luoghi più affascinanti del comune di Firenzuola. Un paese abbandonato, costruito con pietre e malta, che non smette mai di stupire e che, soprattutto, non cessa di ospitare visite e leggende. La storia di Castiglioncello è l'epilogo di un passato difficile e costellato di sciagure, un conto severo che si è concluso con spopolamento, morte e distruzione. Fu un paese di dogana, punto nevralgico di confine tra il Gran Ducato di Toscana e quello di Bologna, conteso da entrambi proprio per la sua strategica collocazione. Sul crinale della montagna sopra al Santerno passava la vecchia via Montanara, che prima dell'Ottocento rappresentava l'unica strada a collegare Toscana ed Emilia Romagna e, di conseguenza, l'unica via di collegamento tra Nord e Sud.
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Fiume Santerno e cascata di Moraduccio |
Le prime notizie di un Castiglioncello indipendente risalgono al 1450 circa, quando il comune di Castel del Rio tentò l'annessione a Firenze. Il borgo si trovava in una posizione di confine estremamente importante dal punto di vista militare e strategico, oltre che commerciale. Questa posizione conferì all'abitato una certa rilevanza fino al XVIII secolo, quando la costruzione di una serie di strade e ponti causò l'abbandono dell'antica via di collegamento passante per Castiglioncello, strada che in realtà era una mulattiera ed era definita molto scomoda e poco praticabile sin dal XVII secolo.
Il borgo sorgeva strategicamente lungo l'antica via che, seguendo la sponda sinistra del Santerno, collegava la zona con Imola attraverso San Piero, Le Piagnole e Sant'Apollinare. La sua storia è intrecciata con quella di importanti casate: fu infatti possedimento della diocesi di Imola, degli Alidosi e degli Ubaldini, prima di passare sotto il dominio di Firenze nel 1372.
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Il borgo di Moraduccio e la statale dalla chiesa |
Ma le sciagure non si limitavano alle vicende umane. Il 24 settembre del 1784, un violento temporale si abbatté su tutta la valle del Santerno. Erano circa le 16, poco dopo la conclusione della messa domenicale. Il cielo era talmente cupo che sembrava notte fonda. Un fulmine cadde sul campanile, fracassandolo completamente. La saetta penetrò in chiesa fino a raggiungere la sacrestia, attraversando due muri e bucando perfino l'armadio dei fiori. Infine, il fulmine colpì mortalmente la perpetua, che in quel momento stava portando dei vasi sull'altare.
Stefano Casini, nel suo "Dizionario di Firenzuola", riporta un vivido racconto dell'evento tratto da un documento dell'archivio parrocchiale, oggi probabilmente perduto:
"Il 26 settembre alle ore 16 circa... venne un'oscurità di tempo che pareva notte e indi cadè un fulmine sopra il campanile che lo fracassò del tutto ed entrando in chiesa penetrando il muro... forò due buchi sull'altare, andando nell'armadio dei fiori, indi penetrò la muraglia sovra l'uscio dell'altare venendo a colpire la serva di anni 68 circa la quale andava a portar vasi sopra la mia camera piovendo nella medesima e colpita fu sull'ultimo gradino della scala, venne giù per la muraglia della cucina, vedendola co' miei propri occhi, restando tutto sbalordito, essendo a tavola e solo in casa...".
Dopo un tentativo iniziale di restauro, l'edificio fu abbandonato e la chiesa venne ricostruita all'interno del borgo, sostituendo quella che era l'antica cappella del castello. Questa è la chiesa che ancora oggi si può vedere, seppur in condizioni di grave deterioramento.
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L'interno della chiesa ormai crollata |
Degli arredi della chiesa ottocentesca non abbiamo notizie, presumibilmente erano modesti data la povertà della zona. L'unico elemento di cui ci resta memoria è una campana che recava l'iscrizione: "UGULINUS TOSCOLI ME FECIT A. D. MCCCXXVII" (1327), successivamente trasferita negli anni '70 sul campanile della pieve di Cornacchiaia.
Il censimento del 1841 registrava a Castiglioncello 97 abitanti, distribuiti in 20 famiglie che occupavano 19 abitazioni. Queste persone conducevano una vita di stenti e sacrifici, tipica delle popolazioni montane dell'epoca, costrette a sopravvivere in un ambiente ostile e isolato. La popolazione era composta principalmente da coloni o piccoli proprietari terrieri che coltivavano con fatica appezzamenti di terra strappati alla montagna, in un territorio impervio e poco fertile. Le famiglie vivevano di un'agricoltura di sussistenza, integrando la loro alimentazione con quello che la natura circostante poteva offrire attraverso la caccia e la raccolta.
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Una finestra in una delle case |
"Dopo pranzo per un magnifico stradale che costeggia le vette dei monti, e rasentando i più profondi dirupi, ci recammo a Castiglioncello, che ci annunziaron vicino i fragorosi colpi di gioia. Faticose furono l'Esequie del Campo Santo posto in un'alta e inaccessibile roccia, ma un vero spettacolo. La sera attraversate a cavallo le acque del Santerno venimmo a Ca' Maggiore, rallegrati da molti fuochi di gioia, che sebben lontani ci rischiaravano il cammino".
Nei dintorni del borgo sorgevano due oratori. Il primo, dedicato alla Madonna del Poggio, fu edificato da certo Paolo Masini in seguito al ritrovamento di un'immagine mariana durante dei lavori agricoli. Una iscrizione su pietra, oggi perduta, commemorava l'evento: "
Deo in Cristi parentis honorem Virginis a Podio nuncupatae valetudinis ergo a fundamentis erigendo inque ipsam ex abiecta et humili aedicula insignis patronae iconem evehendo ut decentium collocaretur festa ipsius certa die quotannis adsignata r. p. Paulus Masinius pia vota exsolvit perpetuum grati animi monumentum a. aerae v. MDCCXCVI".
Il secondo oratorio, di proprietà della famiglia Giannoni, era dedicato alla Crocifissione.
Data la sua posizione di confine con lo Stato Pontificio, Castiglioncello ospitò una dogana di terza classe, dipendente da quella di Piancaldoli. Con l'apertura della nuova strada per Imola, la dogana fu trasferita a Moraduccio e l'edificio venduto a privati. Il borgo fu definitivamente abbandonato nel 1962, anche a causa delle difficoltà di collegamento con la strada principale. Negli anni precedenti fu avviata la costruzione di un ponte sul Santerno, opera che però non venne mai completata.
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La scala d'ingresso in una casa |
Oggi Castiglioncello giace in rovina. Le strutture, esposte per decenni alle intemperie e all'incuria, mostrano i segni evidenti del degrado: muri crollati, tetti sfondati, vegetazione che si insinua tra le pietre. Nonostante alcuni limitati tentativi di ricostruzione, il borgo rimane in gran parte un testimone silenzioso del passaggio del tempo. Gli sforzi di preservazione, seppur lodevoli, non sono stati finora sufficienti a fermare l'inesorabile declino di questo insediamento storico.
Visitare Castiglioncello oggi significa confrontarsi con le tracce tangibili dell'abbandono, ma anche intraprendere un viaggio interiore tra le pieghe della memoria collettiva. Le rovine, nella loro fragile bellezza, ci ricordano la precarietà delle opere umane e, al contempo, la loro capacità di evocare storie e vite che, sebbene apparentemente lontane, continuano a risuonare in noi con sorprendente familiarità.