mercoledì 5 marzo 2025

Castiglioncello tra memoria e oblio

Il borgo di Castiglioncello, oggi 

C'è qualcosa di profondamente evocativo nei luoghi abbandonati. Visitando Castiglioncello, frazione dimenticata di Firenzuola, si viene avvolti da una sensazione ambivalente, allo stesso tempo familiare e aliena. È come trovarsi in uno di quei sogni in cui sei inseguito da una presenza angosciosa che ti costringe in un angolo fino a rivelarsi, per poi scoprire che questa presenza è in realtà una parte di te che avevi dimenticato.

Una delle poche abitazioni rimaste in piedi 

Questo grappolo di case abbarbicate su un crinale appenninico, al centro della Valle del Santerno, è circondato da montagne scoscese. Non sono particolarmente alte, ma suscitano un senso di intensa solitudine che ti porta inevitabilmente a chiederti come potessero vivere le persone quassù. Eppure, paradossalmente, questa estraneità si trasforma in un inspiegabile déjà-vu: luoghi che dentro di noi conosciamo perfettamente, perché hanno lasciato una traccia - in noi, nei nostri genitori, nel nostro territorio - qualcosa di familiare e alieno al tempo stesso.

Arroccato su uno sperone di roccia a strapiombo sul fiume Santerno, il borgo rappresenta uno dei luoghi più affascinanti del comune di Firenzuola. Un paese abbandonato, costruito con pietre e malta, che non smette mai di stupire e che, soprattutto, non cessa di ospitare visite e leggende. La storia di Castiglioncello è l'epilogo di un passato difficile e costellato di sciagure, un conto severo che si è concluso con spopolamento, morte e distruzione. Fu un paese di dogana, punto nevralgico di confine tra il Gran Ducato di Toscana e quello di Bologna, conteso da entrambi proprio per la sua strategica collocazione. Sul crinale della montagna sopra al Santerno passava la vecchia via Montanara, che prima dell'Ottocento rappresentava l'unica strada a collegare Toscana ed Emilia Romagna e, di conseguenza, l'unica via di collegamento tra Nord e Sud.

Fiume Santerno e cascata di Moraduccio 

Le origini di Castiglioncello risalgono a tempi remoti. Dai documenti datati XII secolo, il borgo non compare come luogo autonomo, bensì assoggettato ad un "pace" (un'antica unità territoriale) ormai scomparso, denominato S. Ambrogio della Massa. Successivamente divenne un possedimento della famiglia Alidosi. Fu proprio questa famiglia che, cercando protezione dalla città di Firenze, fece in modo che Castiglioncello divenisse "toscano".

Le prime notizie di un Castiglioncello indipendente risalgono al 1450 circa, quando il comune di Castel del Rio tentò l'annessione a Firenze. Il borgo si trovava in una posizione di confine estremamente importante dal punto di vista militare e strategico, oltre che commerciale. Questa posizione conferì all'abitato una certa rilevanza fino al XVIII secolo, quando la costruzione di una serie di strade e ponti causò l'abbandono dell'antica via di collegamento passante per Castiglioncello, strada che in realtà era una mulattiera ed era definita molto scomoda e poco praticabile sin dal XVII secolo.

Il borgo sorgeva strategicamente lungo l'antica via che, seguendo la sponda sinistra del Santerno, collegava la zona con Imola attraverso San Piero, Le Piagnole e Sant'Apollinare. La sua storia è intrecciata con quella di importanti casate: fu infatti possedimento della diocesi di Imola, degli Alidosi e degli Ubaldini, prima di passare sotto il dominio di Firenze nel 1372.

Il borgo di Moraduccio e la statale dalla chiesa

La vita delle popolazioni di queste zone montane era estremamente dura, segnata da povertà, isolamento e frequenti calamità naturali. Castiglioncello non fece eccezione, subendo nel corso della sua storia numerosi eventi traumatici. Negli anni Venti dell'Ottocento, dopo il congresso di Lubiana, alcune truppe dell'impero austro-ungarico dirette a Napoli per placare i moti rivoluzionari dei Carbonari si stanziarono per settimane nel borgo di Castiglioncello. Gli imperiali presidiarono e saccheggiarono l'abitato, occupando persino la chiesa locale e aggravando le già difficili condizioni di vita dei residenti.

Ma le sciagure non si limitavano alle vicende umane. Il 24 settembre del 1784, un violento temporale si abbatté su tutta la valle del Santerno. Erano circa le 16, poco dopo la conclusione della messa domenicale. Il cielo era talmente cupo che sembrava notte fonda. Un fulmine cadde sul campanile, fracassandolo completamente. La saetta penetrò in chiesa fino a raggiungere la sacrestia, attraversando due muri e bucando perfino l'armadio dei fiori. Infine, il fulmine colpì mortalmente la perpetua, che in quel momento stava portando dei vasi sull'altare.

Stefano Casini, nel suo "Dizionario di Firenzuola", riporta un vivido racconto dell'evento tratto da un documento dell'archivio parrocchiale, oggi probabilmente perduto: 

"Il 26 settembre alle ore 16 circa... venne un'oscurità di tempo che pareva notte e indi cadè un fulmine sopra il campanile che lo fracassò del tutto ed entrando in chiesa penetrando il muro... forò due buchi sull'altare, andando nell'armadio dei fiori, indi penetrò la muraglia sovra l'uscio dell'altare venendo a colpire la serva di anni 68 circa la quale andava a portar vasi sopra la mia camera piovendo nella medesima e colpita fu sull'ultimo gradino della scala, venne giù per la muraglia della cucina, vedendola co' miei propri occhi, restando tutto sbalordito, essendo a tavola e solo in casa...".

Dopo un tentativo iniziale di restauro, l'edificio fu abbandonato e la chiesa venne ricostruita all'interno del borgo, sostituendo quella che era l'antica cappella del castello. Questa è la chiesa che ancora oggi si può vedere, seppur in condizioni di grave deterioramento.

L'interno della chiesa ormai crollata 
Le calamità naturali avevano da sempre segnato la storia del piccolo abitato. Particolarmente devastante fu l'alluvione del 1777, quando una disastrosa piena del fiume Santerno si abbatté sulla zona con furia implacabile. La violenza delle acque provocò la rottura degli argini dei canali, spazzando via tutti i mulini dell'area. Il Mulino di Ferro, simbolo dell'operosità locale, venne completamente travolto dalla corrente impetuosa, scomparendo per sempre tra i flutti tumultuosi. La catastrofe fu amplificata quando, durante lo stesso evento, un modesto rio sfondò il poggio che sorgeva sotto l'abitato di Moraduccio. Questa breccia creò un nuovo corso d'acqua che, confluendo nel Santerno, ne alimentò ulteriormente la già devastante portata. La potenza distruttiva del fiume raggiunse così livelli senza precedenti, abbattendo ogni ponte che attraversava il suo percorso e isolando completamente le comunità che per secoli avevano vissuto sulle sue sponde.

Degli arredi della chiesa ottocentesca non abbiamo notizie, presumibilmente erano modesti data la povertà della zona. L'unico elemento di cui ci resta memoria è una campana che recava l'iscrizione: "UGULINUS TOSCOLI ME FECIT A. D. MCCCXXVII" (1327), successivamente trasferita negli anni '70 sul campanile della pieve di Cornacchiaia.

Il censimento del 1841 registrava a Castiglioncello 97 abitanti, distribuiti in 20 famiglie che occupavano 19 abitazioni. Queste persone conducevano una vita di stenti e sacrifici, tipica delle popolazioni montane dell'epoca, costrette a sopravvivere in un ambiente ostile e isolato. La popolazione era composta principalmente da coloni o piccoli proprietari terrieri che coltivavano con fatica appezzamenti di terra strappati alla montagna, in un territorio impervio e poco fertile. Le famiglie vivevano di un'agricoltura di sussistenza, integrando la loro alimentazione con quello che la natura circostante poteva offrire attraverso la caccia e la raccolta.

Una finestra in una delle case

L'unica eccezione a questa economia di pura sopravvivenza era rappresentata da Lorenzo Lelli, che esercitava il mestiere di fabbro. L'analfabetismo era diffuso: in tutto il borgo, solo Dionisio Marrani sapeva leggere e scrivere, testimonianza di una vita incentrata sui bisogni primari e lontana da qualsiasi forma di istruzione o sviluppo culturale. L'11 luglio 1861, la chiesa di Castiglioncello ricevette la visita pastorale dell'arcivescovo di Firenze Giovacchino Limberti. Il canonico Palagi ci ha lasciato questo suggestivo resoconto:

"Dopo pranzo per un magnifico stradale che costeggia le vette dei monti, e rasentando i più profondi dirupi, ci recammo a Castiglioncello, che ci annunziaron vicino i fragorosi colpi di gioia. Faticose furono l'Esequie del Campo Santo posto in un'alta e inaccessibile roccia, ma un vero spettacolo. La sera attraversate a cavallo le acque del Santerno venimmo a Ca' Maggiore, rallegrati da molti fuochi di gioia, che sebben lontani ci rischiaravano il cammino".

Nei dintorni del borgo sorgevano due oratori. Il primo, dedicato alla Madonna del Poggio, fu edificato da certo Paolo Masini in seguito al ritrovamento di un'immagine mariana durante dei lavori agricoli. Una iscrizione su pietra, oggi perduta, commemorava l'evento: "

Deo in Cristi parentis honorem Virginis a Podio nuncupatae valetudinis ergo a fundamentis erigendo inque ipsam ex abiecta et humili aedicula insignis patronae iconem evehendo ut decentium collocaretur festa ipsius certa die quotannis adsignata r. p. Paulus Masinius pia vota exsolvit perpetuum grati animi monumentum a. aerae v. MDCCXCVI"

Il secondo oratorio, di proprietà della famiglia Giannoni, era dedicato alla Crocifissione.

Data la sua posizione di confine con lo Stato Pontificio, Castiglioncello ospitò una dogana di terza classe, dipendente da quella di Piancaldoli. Con l'apertura della nuova strada per Imola, la dogana fu trasferita a Moraduccio e l'edificio venduto a privati. Il borgo fu definitivamente abbandonato nel 1962, anche a causa delle difficoltà di collegamento con la strada principale. Negli anni precedenti fu avviata la costruzione di un ponte sul Santerno, opera che però non venne mai completata.

La scala d'ingresso in una casa

Nel 1969, quando il paese era ancora in discrete condizioni, vi fu girato "Flashback", un film del regista Raffaele Andreassi. La pellicola racconta la storia di un soldato tedesco che, addormentatosi su un albero e abbandonato dal suo reparto, decide di rimanere in quel luogo, tra la natura e gli abitanti del paese, ripercorrendo i momenti significativi della sua vita.

Oggi Castiglioncello giace in rovina. Le strutture, esposte per decenni alle intemperie e all'incuria, mostrano i segni evidenti del degrado: muri crollati, tetti sfondati, vegetazione che si insinua tra le pietre. Nonostante alcuni limitati tentativi di ricostruzione, il borgo rimane in gran parte un testimone silenzioso del passaggio del tempo. Gli sforzi di preservazione, seppur lodevoli, non sono stati finora sufficienti a fermare l'inesorabile declino di questo insediamento storico.

Visitare Castiglioncello oggi significa confrontarsi con le tracce tangibili dell'abbandono, ma anche intraprendere un viaggio interiore tra le pieghe della memoria collettiva. Le rovine, nella loro fragile bellezza, ci ricordano la precarietà delle opere umane e, al contempo, la loro capacità di evocare storie e vite che, sebbene apparentemente lontane, continuano a risuonare in noi con sorprendente familiarità.