Il Teatro all'Antica di Sabbioneta |
Mattinata nebbiosa. Dall'autostrada per il Nord attraverso il biancore si distinguono solo i cubi e i parallelepipedi degli edifici industriali e le distese di campi violentati dall'espansione incontrollata di case e strade. Lontani, infinitamente evanescenti nel grigiore i Campi Elisi di neve dell'Appennino.
Giriamo nel reticolo di strade, tra innumerevoli edifici insignificanti, fino a raggiungere la cinta muraria e poi il cuore di Sabbioneta: chiese palazzi e strade, profili di mattoncini rossi abbrunati dai secoli.
Una guida ci porta tra i monumenti: e improvvisamente dalle sue parole, dalle case stranamente serrate, dai portici metafisicamente vuoti, dagli angoli dei muri, dalle pitture ormai sbiadite prende vita un mondo scomparso, una camera del tempo sopravvissuta ai secoli.
E' come intravedere un volto in fondo a un pozzo o percepire la sagoma di un pesce nella scia di una nave; il simbolo di questo viaggio è proprio questo Teatro all'Antica, dove il fiato raggela in nuvole di vapore. E la rappresentazione che stamattina si svolge qui è quella della vita di Vespasiano Gonzaga: tragica e gloriosa, triste e meschina. Fango e luce, gloria e oscurità indissolubilmente unite.
Riecheggianti in questo teatro come pronunciate nel vuoto di una grande caverna, l'eco delle medesime domande che Vespasiano si sarà posto e che tutti quanti noi - prima o poi - dobbiamo farci: da dove siamo venuti, dove andremo e se tutto questo abbia un senso.
Certamente Vespasiano Gonzaga a un certo punto avrà capito che tutto ciò che aveva costruito era soltanto un grande fondale di teatro, riservato alla rappresentazione di una vita - la sua - che a un certo punto si sarebbe conclusa lasciando posto ad altre storie, ad altre rappresentazioni.
Forse anche lui si era sentito come mi sento adesso io qui, in questo Teatro all'Antica: come la polena della nave del Tempo, sospinta da un passato ineludibile verso un futuro inconoscibile.
Musica di sottofondo: DeVotchKa, "How It Ends"