Intreccio a bassorilievo, XII secolo, San Cassiano in Controne |
Noi che non sappiamo più sostare,
noi che non sentiamo più la voce della terra,
sospendiamo i nostri sensi increduli,
fermiamo un attimo
questo frenetico agitarsi d’insetti
delle nostre vite,
tratteniamo il fiato e ascoltiamo
ancora
il mormorio dei campi e delle spighe,
nel silenzio cristallino dei metalli
giù, nel cuore igneo del mondo.
Paradossalmente al primo impatto sembra facile inquadrarlo, quasi da Dizionario dei Luoghi Comuni turistici del nostro tempo: un paese di montagna isolatissimo e semiabbandonato, diverso dagli altri solo perché dominato dai ruderi di un castello costruito in una posizione impressionante, appollaiato su di una rupe che strapiomba per quattrocento metri sulle acque ruggenti della Lima.
Un pugno di case disabitate, fuori dal tempo, fuori dal mondo, spettacolari nella loro silenziosa solitudine. Che viene cercata dai turisti e dagli escursionisti contemporanei solo per un'ora - o poco più - di qualche annoiato pomeriggio di una domenica di non-shopping per scappare subito dopo, immemori e inconsapevoli, verso le luci del mondo urbanizzato.
Pensando a Lucchio come a un posto "bello, ma..." e condensando in quel "ma" l'assenza imperdonabile di attrattive adeguate alle aspirazioni del cittadino turista ed esploratore, come qualche localino tipico pieno di cose genuine, o una sagra della castagna o del tortello di montagna.
Peraltro agli occhi di un osservatore superficiale Lucchio sembra davvero un fondale di teatro allestito appositamente per rappresentare lo spettacolo della "tipicità" montanara: una scenografia del come eravamo in cui recitano i personaggi del come siamo. Un luna-park di altri tempi messo su per colpire la fantasia dell'occasionale visitatore, attore e spettatore insieme di questa recita. Ma io direi che non si tratta di altri tempi, quanto piuttosto di un "altro tempo", un tempo che non sappiamo più sentire.
Il paese dal basso |
Perché - e giustamente - chi non sa non vede.
Anni fa - molti anni fa - lessi un romanzo di uno scrittore americano, Jack Finney, Time and Again (tradotto in italiano come Indietro nel Tempo), che trae spunto da una riflessione di Einstein sulla relatività del tempo: il "qui ed ora" sarebbe una percezione soggettiva, mentre le varie epoche coesisterebbero e sarebbero potenzialmente accessibili l'una con l'altra.
Precisi luoghi, rimasti immutati tra le epoche, sarebbero dunque altrettanti "passaggi" in quanto coesistenti - identici - su diversi piani temporali. Per questo il protagonista del libro viaggia nel tempo senza l'ausilio di particolari macchinari, ma semplicemente recandosi in luoghi particolari, rimasti il più possibile inalterati, praticando una sorta di autoipnosi in cui riesce a convincersi di "vivere" l'epoca in cui vuole andare, imparando a percepire le cose che lo circondano non come anticaglie da museo ma come oggetti con una propria utilità, rapportandosi con la realtà come avrebbe fatto una persona di quell'epoca.
Proprio mentre risalivo faticosamente le ripide strade del paese per raggiungere i ruderi della rocca pensavo a questo libro. A quanto Lucchio sembrasse proprio uno dei luoghi descritti da Jack Finney, fotogrammi di un passato che si è cristallizzato senza scomparire.
Era giusto dietro la coda dell'occhio, proprio di là dalla curva dell'acciottolato, appena oltre le imposte serrate di ogni finestra. Il passato con i suoi abitanti ammiccava e si faceva intravedere con le sue povere e semplici cose, per raccontare di un presente fatto di stagioni inesorabili, di fatiche indicibili, di continua lotta con la natura incombente allo stesso tempo madre e matrigna.
Era giusto dietro la coda dell'occhio, proprio di là dalla curva dell'acciottolato, appena oltre le imposte serrate di ogni finestra. Il passato con i suoi abitanti ammiccava e si faceva intravedere con le sue povere e semplici cose, per raccontare di un presente fatto di stagioni inesorabili, di fatiche indicibili, di continua lotta con la natura incombente allo stesso tempo madre e matrigna.
Sentivo il passato non come qualcosa di trascorso ma come un diverso presente, ne percepivo gli odori, ne udivo i rumori attraverso la trama del tempo: i miei attimi diventavano altri attimi e il mio vissuto entrava in risonanza con quello di chi si era trovato a vivere in quei luoghi: e all'improvviso mi sentivo - indicibilmente - uno di loro, un uomo di confine, arrampicato su di una rupe sospesa tra passato e presente.
Perché vivere aggrappati a uno sperone roccioso proteso dalle creste della Penna di Lucchio fino in mezzo alla valle della Lima, perfetto per sorvegliare ma molto meno per passarci l'esistenza, non deve essere mai stato semplice. Fin dal giorno immemorabile in cui qualche comandante militare decise di costruire dapprima una torre e poi un fortilizio da cui controllare i viandanti che percorrevano la strada che conduceva verso i passi dell'Oppio e dell'Abetone, Lucchio è sempre stato un paese di confine, un luogo di passaggio.
E per quanto possa sembrare strano, per molti versi lo è ancora oggi: le sue ripide strade acciottolate portano ben più lontano di quello che sembra, se solo siamo disponibili a pagare il giusto dazio alla memoria, mettendo in gioco ciò che siamo e ciò che pensiamo di sapere di noi e di ciò che ci circonda.
Sotto alla rocca |
E per quanto possa sembrare strano, per molti versi lo è ancora oggi: le sue ripide strade acciottolate portano ben più lontano di quello che sembra, se solo siamo disponibili a pagare il giusto dazio alla memoria, mettendo in gioco ciò che siamo e ciò che pensiamo di sapere di noi e di ciò che ci circonda.
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