La fioritura di maggio a Santorini, 1995 |
E sradicati i loro simulacri
dai loro templi li scacciammo. Eppure
non fu morire, questo, per gli Dei
Perché t’amano ancora, o terra ionica,
perché in loro, ombre, è la vita
del tuo ricordo, ancora
d’agosto, quando il mattino t’irrora,
l’impeto di energia vitale che ne emana
nel tuo respiro tutto si travasa;
e a volte di una forma indefinita
di adolescente rianima i tuoi colli
l’essenza, che li percorre
vertiginosa.
(Konstantinos Kavafis, trad. Guido Ceronetti)
Ricordo benissimo quella mattina dell'8 maggio 1995 quando arrivammo a Santorini. Tirava vento, e arrivando in aereo da Mykonos non ci eravamo resi bene conto di dove fossimo né di cosa ci aspettasse a Fira. Lasciammo i bagagli in camera - l'albergo era a Kamari, sul lato esterno dell'isola - e prendemmo subito l'autobus per Fira. Quando arrivammo era l'ora di pranzo.
Il paese in sé non sembrava nulla di particolare, salvo il fatto che stava in alto e prometteva un bel panorama: ma quando scendemmo alla fermata e percorremmo i pochi passi che ci separavano da quella che pensavamo fosse solo una bella veduta, ci rendemmo conto che ci eravamo sbagliati. E di grosso.
Davanti a noi si apriva un semicerchio di rocce laviche nere, strapiombante per centinaia di metri su un lago marino azzurrissimo largo chilometri. Case bianche, di un bianco abbagliante, cielo azzurro, acqua blu. Uno spettacolo meraviglioso, di quella bellezza che ti mozza il fiato e annoda la gola.
Ma quello che più ci fece restare a bocca aperta furono i fiori. Infinite distese di margherite e mesembriantemi coprivano le scarpate di lava nera, in un trionfo di giallo bianco e fucsia. In quel momento mi venne in mente - per restarvi scolpita - la parola vertiginosa della traduzione di Ceronetti da Kavafis. Perché proprio allora la Primavera cicladica mi avvolse come una vertigine, e come una dea si impossessò di me.
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