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La Badia di Santa Maria a Montepiano in autunno |
La valle "onde Bisenzo si dichina", a nord della città e della piana di Prato, storicamente non è stata una via di comunicazione di primaria importanza, tant'è che fino ai primi del Novecento non ebbe nemmeno una moderna carrozzabile che la mettesse in comunicazione con
Bologna.
Malgrado culminasse sul valico della Serra di Montepiano (m 750 s.l.m.), il più basso dell'Appennino Tosco-Emiliano, nei secoli le furono preferite le più ampie valli della Marina a oriente - che portava al Mugello e in Emilia attraverso la Futa - e quella dell'Ombrone a occidente, che portava a Bologna attraverso Porretta e la valle del Reno.
Le valli del Setta e del Bisenzio furono messe in comunicazione con mezzi che non fossero sentieri o mulattiere solo ai primi del Novecento, e per la gran parte la strada "Maestra" della val di Bisenzio restò a fondo naturale fino a dopo la seconda guerra mondiale. Ancora nei primi anni Sessanta del Novecento la carrozzabile che collegava la valle del Bisenzio a quella del Setta era sterrata nel tratto che va da Sasseta a Castiglion de' Pepoli, e venne completamente asfaltata solo a partire dal 1962, anno di istituzione della strada statale (poi regionale) 325.
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L'alto Appennino pratese dall'Alpe di Cavarzano |
L'isolamento e la scarsa densità di popolazione delle zone più alte della valle furono quindi una costante, dalle origini fino all'epoca romana e oltre. Solo con la dissoluzione dell'Impero e l'impaludamento della piana pratese nacquero nuovi insediamenti, peraltro abitati stabilmente solo a partire dall'Alto Medioevo, di popolazioni dedite ad allevamento e pastorizia, allo sfruttamento delle risorse del bosco e alla coltivazione della castagna, frutto ancora oggi profondamente legato alla tradizione della zona.
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Tabernacolo lungo il torrente Setta |
In questo territorio aspro e poco abitato, quasi privo di vie di comunicazione, coperto di foreste e percorso solo dagli animali selvatici, trovarono rifugio comunità religiose di tipo eremitico, prevalentemente benedettini vallombrosani, che spesso gettarono il seme di abitati destinati a durare fino ai giorni nostri. Una di queste comunità - creata verso l'anno Mille da un "romito", il Beato Pietro i cui miracoli sono descritti negli affreschi della navata - ebbe il suo centro nella Badia di Montepiano dedicata a Santa Maria.
L'insediamento, come vari altri dello stesso genere, ebbe successo: per vari secoli la Badia accumulò possedimenti fino al Mugello e gestì anche uno Spedale, riservato ai pellegrini che si trovavano a valicare il passo della Serra. Questa relativa ricchezza si tradusse anche in edifici di una certa importanza - anche considerando il contesto in cui si trovavano - di cui il maggiore, sopravvissuto fino ad oggi, è la chiesa della Badia.
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L'Orante della Badia di Montepiano |
Costruita in stile romanico a servizio del monastero da maestranze lombarde, ha un portale con una curiosa lunetta di arenaria con un bassorilievo che raffigura una donna che indossa un corto gonnellino nell'atteggiamento dell'"orante", ovvero con le braccia alzate all'altezza delle spalle, in un gesto che si può facilmente interpretare come manifestazione della preghiera.
Per quanto possa oggi suonare strano, questa immagine che ancora oggi accoglie i visitatori di questa chiesa cristiana rappresenta un retaggio del culto della Grande Madre primordiale, che partendo dalla preistoria come un filo conduttore ha attraversato tutte le religioni. Questa dea esprimeva il ciclo di nascita, sviluppo, maturità, declino, morte e rigenerazione che contraddistingue sia le vite umane, sia i cicli naturali e cosmici. Alla sua figura possiamo ricondurre anche la stessa Vergine Maria, alla quale - non a caso - la Badia è intitolata.
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Oranti a Romena nel Casentino |
Rappresentazioni di questo tipo, che documentano l'incorporazione nel cristianesimo di culti così antichi da perdersi in una preistorica notte dei tempi, testimoniano la persistenza di queste credenze ancestrali che avevano la tendenza a riemergere soprattutto nelle terre isolate dell'alto Appennino. Sculture simili a questa si trovano anche nelle chiese di San Cassiano in Val di Lima, di Gròpina sul Pratomagno, di Romena nel Valdarno Superiore. Tutte raccontano di come sotto una esteriore vernice cristiana gli antichi culti della dea della terra sopravvivessero ancora.
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Gli Oranti di Naquane in Val Camonica (VII millennio a.C.) |
Ancora adesso, la profusione di tabernacoli che nella periferia pratese testimoniano la devozione popolare nei confronti della Vergine Maria rappresentano una reminiscenza di questo culto, che metteva in comunicazione la terra e il cielo. La Grande Madre rappresenta la fertilità della terra che dà sostanza, che porta in sé la vera "anima mundi" e come tale rende possibile la comunicazione con lo Spirito delle divinità celesti.
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Gli Oranti di San Cassiano in Controne in val di Lima |
Proprio come il seme che viene sepolto nel grembo della Terra per germogliare, farsi pianta e poi slanciarsi verso il cielo così l'uomo vive la sua stagione di vita, aiutato dalla dea nel suo cammino di rigenerazione: e il simbolo più forte di questo cammino è proprio l'Orante, con le gambe piantate nel rigoglio della Madre Terra e le braccia tese fino a toccare la volta del cielo, sede dello Spirito, in connessione con le divinità celesti, nell'atto di “prendere il cielo” e portarlo sulla terra.
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L'acqua del Setta nei pressi della Badia |
L'idea della Madre Terra che presiede a questa giostra infinita di morte e rinascita su cui tutti noi - esseri viventi - facciamo un giro, stranamente mi rassicura. Mi fa pensare a quelle foto a lunga esposizione in cui l'acqua diventa un'entità nebbiosa e piumosa nel letto roccioso di un torrente.
La Dea, la Natura che ci origina, accoglie e circonda è il letto del torrente. Noi esseri viventi siamo l'acqua: movimento e stabilità non sono antitesi, sono una cosa sola, basta saperla cogliere. Solo che l'essenziale resta invisibile agli occhi e troppo spesso noi dimentichiamo questa semplice verità.