Ferdinando I de' Medici in veste da cardinale, Alessandro Allori, 1587 |
"Tutta la gloria e la ricchezza che c'è, si trova in città, ed è nelle mani di pochi, ai quali son convogliati tutti i prodotti della campagna. Quanto agli artigiani, non possono fare molto di più che vivere, perché di loro appena uno in un'intera città si arricchisce mai; e la vita dei poveri contadini è tale che se non fossero di natura orgogliosi pur nella loro estrema miseria, uno straniero sarebbe mosso a compiangerli."(Robert Dallington, 1596)
Cristo nella casa di Maria e Marta, Francesco Bassano 1577 |
"...appare che il granduca ha due rendite con le quali si arricchisce, cioè grandi imposte e grandi risparmi (perché il risparmio è una gran rendita). Resterebbero altre due cose per farlo assolutamente ricco: l'amore dei suoi sudditi, e la loro ricchezza privata; perché la ricchezza dei sudditi è ricchezza anche del re, e dove il popolo è ricco il principe non è povero. Ma di certo non c'è né l'una né l'altra."
- Tassa sul catasto: gravava sui beni immobili, come terreni e case, sia per la compravendita che per l'affitto nonché per la successione ereditaria, e variava dall'8% al 10% dei valori in questione.
- Tassa sul sale: un monopolio statale che garantiva un'entrata considerevole.
- Tassa sulla testa o testatico: applicata a tutti i cittadini, indipendentemente dal loro reddito, e anche applicata ai capi di bestiame, sia sotto forma di quota forfettaria che di tassa su ciascun capo.
- Tasse su specifiche attività: ad esempio sulla dote della moglie al momento del matrimonio, sull'esercizio del meretricio (ogni cortigiana doveva pagare una lira - ovvero un ottavo di scudo d'oro - al mese) e sugli Ebrei (2 scudi d'oro all'anno).
- Dazio doganale: prelevato sulle merci importate ed esportate.
- Gabelle: tasse su specifici beni di consumo, come pane, vino, carne e tabacco e anche su attività come condanne e cause legali.
- Tasse sull'esercizio di particolari attività, come ad esempio locande e alberghi, e una tantum - e detta matricola - sull'impianto di attività commerciali di vendita.
Pianta di Prato di Odoardo Warren, 1740 |
Scudo d'oro di Ferdinando I |
Bilancino da cambiavalute del XVII secolo |
"Vennero quel giorno devotamente (a trovare me, non il Sacro Cingolo) due miei amici inglesi; osservammo (...) che eran venute nel luogo del mercato circa 18 o 20 mila persone per vedere la reliquia, di cui la metà portava cappelli di paglia, e un quarto era a gambe scoperte; per cui sappiamo che non è tutto oro in Italia, anche se molti viaggiatori che dànno solo un'occhiata alla bellezza delle città e alle facciate dipinte delle case, pensano che sia il solo paradiso in Europa."
Lo scenario generale dell'epoca, visto con gli occhi di oggi, era quello di una desolante miseria che imperversava tra la massa della popolazione e si traduceva in condizioni di vita allucinanti, con contrasti sociali violentissimi anche all'interno di una società relativamente evoluta e benestante quale quella della Toscana di fine Cinquecento.
D'altro canto l'atteggiamento e la sensibilità delle classi privilegiate nei confronti della massa non erano diversi da quelli che hanno molti italiani di oggi nei confronti degli odierni migranti economici. Scriveva infatti pochi anni dopo il medico bergamasco Marcantonio Benaglio:
"Dovendosi dalli presenti successi cavar quell'avvertimento per sapere come governarsi nell'avvenire, si fa memoria che bisognerebbe soccorrere i poveri dei villaggi mandando loro grosse e sufficienti elemosine, vietando poi loro rigorosamente l'ingresso nella città con metter guardie alle porte e facendoli uscire quando fossero entrati. Perché in questo modo facendo si guadagnerà la preservazione della patria dalli soprastanti mali contagiosi, maligni ed epidemici e si schiverà il tedio e cruccio insopportabile, l'orror e spavento che porta seco una turba rabbiosa di gente mezzo morta che assedia ognuno per le strade, per le piazze, per le chiese, e alle porte delle case. cosicché non si può vivere con un puzzore che ammorba, con continui spettacoli di moribondi e morti, e soprattutto tanto rabbiosi che non si ponno distaccar da dosso senza fargli elemosina."
Mi sono chiesto se fosse possibile valutare dai documenti in nostro possesso l'effettiva ricchezza dello Stato Toscano in quello scorcio di tempo tra Cinquecento e Seicento in cui ebbe luogo il governo di Ferdinando I, e in che termini potessero essere confrontati tra loro due Paesi così diversi come l'Inghilterra elisabettiana di Dallington e lo Stato mediceo.
Attraverso diversi calcoli, ho stimato una sorta di PIL - Prodotto Interno Lordo - per i due Stati. Sebbene sia solo un'approssimazione, fornisce comunque alcuni utili elementi di confronto. Permette infatti di paragonare, sia pure a grandi linee, un'economia moderna con quella di due Stati preindustriali.
Partiamo dai dati odierni, che appaiono sideralmente lontani da quelli di fine Cinquecento: la Toscana nel 2023 ha avuto un PIL di 113,8 miliardi di Euro, la Gran Bretagna un PIL di 3.212 miliardi di Euro. Gli abitanti al 2023 sono 3.656.000 per la Toscana e 56.489.000 per la Gran Bretagna, il PIL pro capite è di 31.127 Euro per la Toscana e 56.861 Euro per la Gran Bretagna.
Monete di Ferdinando I de' Medici |
Malgrado la differenza di estensione dei due Stati, la ricchezza del Granducato era quindi molto maggiore in quanto la popolazione toscana era di gran lunga inferiore a quella inglese: 880.000 abitanti in Toscana contro 4.500.000 in Inghilterra. Facendo la stessa operazione che abbiamo fatto sopra ne viene un PIL pro capite di 2.273/2.841 Euro per la Toscana a fronte di 533/666 Euro per l'Inghilterra.
Una notevole disparità che fa capire per quale motivo Sir Robert Dallington fosse stato mandato in avanscoperta dalla Corona inglese. Per quanto poverissima in termini moderni, la Toscana di fine Cinquecento era ricca in termini relativi, se paragonata a molte altre nazioni europee del tempo, e poteva essere presa ad esempio: ma questa ricchezza era molto mal distribuita, tra privilegi ecclesiastici e nobiliari e inefficienze di ogni genere.
Della ricchezza prodotta dallo Stato una parte finiva nelle casse del granduca ed era da lui liberamente usata sia per le sue necessità personali che per quelle della sua politica. Partendo dagli assunti precedenti, ho calcolato che le entrate di Ferdinando I oscillassero annualmente tra un minimo di 1 milione di scudi e un massimo di 3 milioni, equivalenti a 100-300 milioni di euro attuali, corrispondenti ad oltre il 10% del bilancio statale. Grandi somme, che nel panorama piuttosto misero dell'Europa dell'epoca fecero guadagnare al sovrano toscano il titolo piuttosto evocativo di "Re di denari" testimoniando se non altro la sua abilità di amministratore.
E pur con le sue diseguaglianze e con la sua relativa povertà, cosa sarebbe potuta diventare l'Italia di fine Cinquecento se, invece di essere frammentata in tanti piccoli Stati come la Toscana, fosse stata unita, mettendo da parte rivalità ed egoismi? Probabilmente sarebbe stata ancora protagonista, in Europa e nel mondo, anche dopo il periodo d'oro del Rinascimento.
L'antica massima "l'unione fa la forza" trova sempre nella storia una conferma puntuale. Le vicende dei secoli passati ci insegnano che solo attraverso la coesione e la collaborazione è possibile raggiungere grandi obiettivi e prosperare. Al contrario, la divisione e la discordia conducono inevitabilmente alla debolezza, alla disfatta e al decadimento, sia in ambito morale che economico.
Questo motto racchiude infatti una verità fondamentale, che assume una particolare importanza anche nel contesto dell'Europa odierna. In un mondo sempre più interconnesso e globalizzato, solo attraverso la coesione e la collaborazione tra le diverse nazioni sarà possibile affrontare le sfide comuni e costruire un futuro migliore per tutti.
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