Three Flags, Jasper Johns, 1958 |
Con le sue Three Flags, Johns ha trasformato l'emblema più politicamente carico in qualcosa di più formale, tanto che ha sempre raffigurato la bandiera americana con 48 stelle (...) Tuttavia, vale anche la pena considerare il contesto storico del dipinto, un'America della Guerra Fredda sotto la repressione maccartista, così come il fatto che Johns era solito riferirsi ai suoi dipinti come "fatti", lasciandoli quindi aperti a interpretazioni. In questa luce, Three Flags sfida la nostra percezione dei molteplici significati racchiusi nell’icona americana per eccellenza (...). (Benedetta Ricci, Artland Magazine)
1) La diseguaglianza. Molto maggiore di quella che sperimentiamo qua: le infrastrutture (case, strade, servizi) vanno dallo stupefacente al pericolante nello spazio di poche centinaia di metri, massimamente nei quartieri periferici che in alcuni casi sembrano dei veri e propri ghetti, con l'effetto generale di mostrare una cura molto minore del "bene pubblico", tant'è che al ritorno la mia Prato - che pure ha tanti difetti - mi è sembrata stranamente ben tenuta. Detto in generale, esiste una forte segregazione spaziale, con quartieri opulenti adiacenti a isolati popolari o perfino totalmente degradati, che riflette le disparità economiche e sociali della società americana.
2) Lo spreco. Le confezioni e gli allestimenti dei prodotti in vendita nei supermercati sono ciclopici: montagne di frutta e verdura, cartoni da 24 uova, chili di carne e pesce, taniche di latte e di bibite, cisterne di birra. Eravamo in 3 in un quartiere ispanoamericano, cenavamo in casa e abbiamo avuto difficoltà a fare la spesa cercando di comprare quello che era necessario senza fare scarti. L'idea che una persona consumi quello che è necessario senza buttare via nulla qua viene vissuta come la prefigurazione di una carestia, come se solo la sovrabbondanza e il conseguente sciupio possa misurare la ricchezza di chi utilizza questi beni. Da questo atteggiamento discende una costante disattenzione verso il consumo improduttivo: aria condizionata ovunque - anche in autunno - impostata su temperature polari, centinaia di luci accese in pieno giorno anche in cantieri edili, automobili che sembrano carrarmati e che consumano il quadruplo di carburante di una delle nostre.
3) Il rumore. Costante, altissimo come quello di una fabbrica in perenne movimento (80 dB misurati a mezzogiorno di domenica, a Bryant Park), accompagnato da un brulichio perenne di persone che corrono incessantemente da un luogo all'altro, senza fermarsi e senza interagire con chi trovano sul proprio cammino, come tanti ingranaggi di un organismo meccanico che non si ferma mai. Dà l'idea di una corsa del criceto - di tutti noi criceti - su di una ruota di dimensioni immense. Il frastuono costante e il brulichio di persone creano un'atmosfera frenetica e spesso alienante, in una corsa incessante che impedisce la socializzazione e l'interazione umana.
In conclusione, l'America si rivela un paese di grandi contrasti, dove la ricchezza sfrenata coesiste con la povertà, l'opulenza si contrappone al degrado urbano e l'individualismo ostacola la socializzazione. Un Paese che, seppur affascinante e ricco di opportunità, lascia anche perplessi per la sua superficialità, il suo spreco e la sua frenesia.
L'America è una sorta di specchio deformante dell'Italia, che mostra in maniera amplificata sia i nostri pregi che i nostri difetti. Da un lato, la maggior cura del "bene pubblico" e la socialità che caratterizzano il nostro paese appaiono come valori inestimabili di fronte all'individualismo e all'alienazione americani. Dall'altro, l'efficienza e la dinamicità che pervadono la società americana ci spingono a interrogarci sulla nostra staticità e sulla nostra resistenza al cambiamento facendoci riflettere sul significato di progresso, di benessere e di felicità.
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