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L'ingresso del borgo |
Giungere al borgo di La Scola è come arrivare in un angolo intatto del Medioevo. Situato nell'Appennino Bolognese, tra la Rocchetta Mattei e il Santuario di Montovolo, questo villaggio rappresenta uno degli esempi meglio conservati dell'architettura medievale appenninica. Le sue origini risalgono al VI secolo d.C., quando la sua posizione strategica sul crinale segnava il confine tra il regno longobardo e l'Esarcato di Ravenna. Il nome "Scola" deriva infatti dal termine longobardo "Sculca", che significa posto di guardia o vedetta, riflettendo la funzione militare originaria del borgo come avamposto difensivo del vicino centro monastico di Montovolo.
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La meridiana di Palazzo Parisi |
La maggior parte degli edifici presenti risale al periodo tra il 1400 e il 1500, frutto dell'opera dei Maestri Comacini, artigiani provenienti da Milano e Como, noti per la loro maestria nella lavorazione della pietra. Questi artigiani trasformarono le antiche torri militari in abitazioni civili, mantenendo però l'aspetto fortificato del borgo. La struttura urbanistica di La Scola è infatti caratterizzata da edifici e torri addossate, integrate in un sistema difensivo naturale che sfrutta la conformazione del terreno per renderlo meno vulnerabile agli attacchi nemici. Un elemento distintivo del borgo è un maestoso cipresso, alto 25 metri e con un'età stimata di oltre 700 anni, riconosciuto come monumento naturale, con un fusto che raggiunge più di 5 metri di circonferenza.
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L'antico forno comunitario |
La storia del borgo è strettamente legata alla famiglia Parisi, originaria di Prato, che si stabilì a La Scola alla fine del XIV secolo; all'inizio svolgevano la professione di basiglieri (commercianti di lana grezza). Il primo membro noto, Parisio, è menzionato negli estimi del 1385 come proprietario di una casa nel borgo. Nel tempo, la famiglia si espanse e acquisì prestigio, tanto che nel 1451 i suoi discendenti possedevano tre abitazioni a La Scola. La famiglia Parisi si suddivise in tre rami: Parisi, Pelagalli e Bruni, che insieme mantennero la proprietà dell'intero borgo fino all'Ottocento. I Parisi, in particolare, divennero una delle casate più influenti della valle del Limentra, distinguendosi in vari ambiti professionali come notai, prelati, dottori in legge e capitani, garantendosi una posizione economica e sociale di rilievo nella zona.
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Entrando nel borgo |
Il Palazzo Parisi, completato nel 1638, rappresenta l'edificio principale e il nucleo centrale del borgo. Sull'architrave dell'ingresso è incisa la frase latina "Ostium non hostium", che significa "Aperti agli amici, chiusi ai nemici", un gioco di parole basato sui termini latini "Ostium" (porta) e "Hostium" (genitivo di "nemici"). Il palazzo presenta collegamenti aerei verso gli edifici vicini, oltre a feritoie, balestriere, logge architravate, porticati, finestre decorate e fregi dipinti. All'interno, un ampio salone ospita un camino in pietra datato 1575, un grande tavolo seicentesco dalle gambe a forma di stivale di fante su cui i notai Parisi rogavano i loro atti, e un fregio affrescato raffigurante le fatiche d'Ercole. La famiglia Parisi mantenne la sua presenza a La Scola fino alla metà del XX secolo, quando si estinse con Irene Parisi.
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Decorazione in legno sulla facciata di una casa |
Oltre al Palazzo Parisi, la famiglia contribuì alla costruzione di edifici religiosi nel borgo, tra cui l'Oratorio di San Pietro, edificato nel 1616, che conserva una pala d'altare raffigurante la Madonna della Cintola, recentemente restaurata. È curioso come proprio in questo piccolo oratorio si trovi un'immagine mariana così strettamente legata alla città di Prato, dove la Madonna della Cintola è al centro della devozione popolare e oggetto di una delle più importanti reliquie conservate nella cattedrale della città. Questo legame iconografico è certamente dovuto alla presenza della famiglia Parisi, che, pur avendo messo radici a La Scola, conservava forti legami con la città d'origine, testimoniati anche da tracce artistiche e culturali come questa. Anche in occasione del restauro, promosso nel 2018, all'inaugurazione del quadro rinnovato vennero da Prato diversi membri della confraternita del Sacro Cingolo.
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Oratorio di San Pietro |
Passeggiando per le strette vie acciottolate di La Scola, si possono ammirare diversi edifici storici; un'altra peculiarità è rappresentata dai "corridoi pensili", passaggi sopraelevati che collegano tra loro vari edifici, permettendo movimenti sicuri all'interno del borgo in caso di assedio. Grazie all'impegno dell'Associazione Culturale Sculca, fondata nel 1993, il borgo è stato preservato nella sua integrità e valorizzato attraverso eventi culturali e restauri mirati. Questo, apparentemente, ha permesso a La Scola di mantenere intatto il suo fascino antico in un luogo dove storia e natura sembrano fondersi armoniosamente.
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Il cipresso secolare |
Eppure, ciò che oggi percepiamo come autentico e immutabile è il frutto di un processo selettivo, talvolta inconsapevole, altre volte intenzionale. La memoria dei luoghi, come quella delle tradizioni, è stata tramandata attraverso scelte arbitrarie: ciò che oggi ammiriamo è solo una parte di un passato più vasto, di cui molte tracce sono andate perdute. Gli edifici rimasti, i dettagli architettonici preservati, perfino le storie che ci vengono raccontate, sono frutto di un'eredità che ha subito incessantemente trasformazioni, cancellazioni e riscritture nel corso del tempo. Ogni pietra, ogni struttura, ogni documento è parte di una storia più grande, ma non per questo completa. Il borgo che oggi visitiamo è una finestra su un passato che, per quanto affascinante e suggestivo, è solo un frammento della sua vera essenza.
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Entrando dal basso nel nucleo abitato |
Pertanto, quando ci immergiamo nella contemplazione di un luogo come questo, dovremmo farlo con la consapevolezza che stiamo osservando non solo ciò che è sopravvissuto, ma anche le ombre di ciò che è scomparso. Ogni spazio racconta storie multiple: quelle che possiamo ancora leggere e quelle ormai silenziate dal tempo. La bellezza di questi luoghi risiede infatti proprio nella loro incompletezza, nel mistero di ciò che è andato perduto, nelle domande che suscitano più che nelle risposte che offrono.
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Legnaia e cantine |
Viaggiare attraverso questi frammenti di memoria collettiva significa accettare l'imperfezione della nostra comprensione storica e, paradossalmente, arricchirla attraverso questa stessa consapevolezza. Significa rispettare non solo l'autenticità di ciò che vediamo, ma anche l'invisibile autenticità di ciò che non c'è più. In questo modo, il nostro rapporto con il passato diventa un dialogo continuo, un'interpretazione sempre aperta e mai definitiva, un esercizio di immaginazione oltre che di osservazione.
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Il borgo dai prati sottostanti |
Ed è forse proprio questa tensione tra presenza e assenza, tra conservazione e perdita, a conferire ai luoghi storici il loro fascino più profondo: essi ci invitano a riconoscere che ogni patrimonio è, per sua natura, incompleto e frammentario, e che la vera ricchezza sta nell'accettare questa incompletezza come parte essenziale della nostra eredità culturale.
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